
Perché l’AC è gioia!
I 150 anni di AC festeggiati in Piazza San Pietro con il Santo Padre
di Federico Gravino

Il 30 aprile abbiamo festeggiato i 150 anni della nostra AC a Roma, con la presenza di Papa Francesco. Piazza San Pietro è stata il palcoscenico dell’apice della gioia, elemento essenziale del nostro stile associativo. Sorrisi, colori, emozioni, voglia di stare insieme e di condividere un momento importante: ecco gli ingredienti che hanno trasformato la festa dell’AC in un’occasione unica di crescita umana e spirituale.
D’altronde l’Azione Cattolica è gioia. Dagli incontri settimanali che scandiscono la vita associativa parrocchiale ai campi estivi che vedono protagonista l’associazione nella sua dimensione diocesana, ogni esperienza è v
issuta all’insegna della gioia, da ormai ben 150 anni.
Gli orari particolari e il notevole sforzo fisico che la giornata ha richiesto non hanno scoraggiato le migliaia di soci che si sono dati appuntamento a Roma da ogni parte d’Italia per celebrare un evento così speciale per la storia della nostra AC. Tra questi anche 130 soci dell’AC di Capua.
Dalle prime luci dell’alba Roma si è colorata di giallo e di blu: mezzi pubblici, strade, piazze, in ogni angolo della Capitale si è respirata aria di Azione Cattolica. Le ore di attesa per accedere in Piazza San Pietro sono state ricompensate dall’onda emotiva che ha investito chiunque sia entrato.
Tutti in attesa di Papa Francesco.
L’ingresso del Santo Padre è stato accolto da applausi, cori in festa, bandiere e striscioni di ogni colore. Tutti, dai più piccoli ACRini agli Adultissimi, ci siamo sentiti parte di un’unica grande famiglia, pronti a spegnere quelle 150 candeline.
Non un momento autocommemorativo, ma la consapevolezza di vivere un evento unico ed irripetibile nella grande storia di AC.
Il Presidente nazionale, Matteo Truffelli, salutando il Santo Padre, ha ribadito il rapporto particolare che lega l’associazione a Papa Francesco. “Camminando come laici associati per le strade del mondo, in tutte le diocesi italiane, dentro le parrocchie che abitano i nostri territori, cerchiamo di farci compagni di strada di chi incontriamo nel mondo per compiere ogni giorno, insieme, lo stesso cammino dei discepoli di Emmaus”: queste le parole di Truffelli, che ha richiamato la missionarietà che contraddistingue l’AC.
Papa Francesco l’ha ribadita e, ancora una volta, ci ha spronato ad essere Chiesa in uscita, per arrivare in ogni periferia: “Non guardarsi indietro, si cade. Non guardarsi troppo allo specchio, siamo brutti. Non stare in poltrona, si ingrassa e fa male al colesterolo”.
L’AC ha, dunque, raggiunto un traguardo importante: l’ennesima tappa di un cammino che da 150 anni è iniziato per seguire Gesù e portare a tutti la Vera Gioia.

La Sacra Scrittura, un mistero che rivela Dio all’uomo
Incontri di approfondimento biblico nell’AC della Parrocchia Santa Maria di Costantinopoli, San Prisco
di Giuseppe Santoro
L’Azione Cattolica della Comunità Parrocchiale “S. Maria di Costantinopoli” di S. Prisco è stata protagonista e promotrice di tre incontri formativi che hanno introdotto i partecipanti nel mondo della Sacra Scrittura, oggi, purtroppo, poco conosciuto.
Da qui la necessità di affrontare lo studio della Parola di Dio attraverso la presenza del diacono Antonello Gaudino che, con la sua spontaneità e la semplicità dei suoi modi, ha reso accessibile il mistero che, ancora oggi, si cela tra le pagine del nostro Testo Sacro. Attraverso questi appuntamenti abbiamo analizzato la Bibbia come Parola di Dio per arrivare alla volontà di Rivelazione di Dio che passa attraverso la sua Alleanza con l’uomo.
Tale passaggio è stato oggetto di riflessione nei tre incontri che hanno avuto come punto di partenza alcuni passi della Scrittura, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento e, in modo particolare, la Costituzione conciliare sulla Divina Rivelazione, la Dei Verbum.
Il primo incontro, La Bibbia come Parola di Dio, ha illustrato come si è giunti a parlare della Bibbia in quanto Parola ispirata. Per «ispirazione» si intende l'atto con cui Dio sceglie un uomo per la composizione di un testo sacro e lo mette in grado di pensare e scrivere in modo tale che pensi e scriva solo quello che lo Spirito Santo vuole, attraverso categorie comprensibili all’uomo.
Una volta chiara la definizione di “Ispirazione” abbiamo affrontato il tema della canonicità dei Testi Sacri e perché i Vangeli Apocrifi non sono detti canonici.
Il secondo appuntamento, Dio desidera fare alleanza con l’uomo, ci ha fatto comprendere cosa significa il termine Alleanza e il passaggio tra le varie alleanze nell’Antico Testamento per arrivare alla Rivelazione di Cristo. Cosa si intende con il termine biblico di “alleanza”? Nel comune sentire della gente tale termine evoca generalmente un accordo di natura politica, militare o socio-economica. Tuttavia si tratta di un’applicazione limitata del concetto biblico di alleanza (in ebraico: berît, in greco: diathe-ke-) che invece è portatore di un senso più ampio. Antonello infatti ci ha proposto due linee di interpretazione del termine alleanza: a) un superamento di uno stato di ostilità e di divisione mediante un atto di pacificazione e di riconciliazione; b) una relazione di amicizia, di comunione e di fratellanza tra singoli o gruppi sociali.
Da ciò possiamo comprendere le varie tappe e i vari protagonisti dell’Alleanza con Dio, raccontata nei vari brani dell’Antico Testamento: l’alleanza cosmica attraverso Noè (Gn 9), la promessa ad Abramo (Gn 15), la celebrazione del Sinai (Es 24), la liturgia a Sichem (Gs 24), la profezia di Natan (2Sam 7), il simbolismo sponsale nei profeti, il sacrificio della nuova ed eterna alleanza in Gesù.
Questa particolare alleanza in Gesù è stata oggetto di riflessione dell’ultimo incontro, Dio desidera rivelarsi all’uomo. Dio ha rivelato per la prima volta il suo vero nome a Mosè come ci racconta Esodo 3,14. Si tratta di un nome che in realtà non lo è: - JHWH (tetragramma sacro), “IO SONO”. Bisogna precisare però che, nell’ebraismo, chiamare qualcuno per nome significa conoscere la realtà del suo essere più profondo, la sua vocazione, la sua missione, il suo destino. È come tenere la sua anima nella propria mano, avere potere su di lui. Per questa ragione, il Nome di Dio, che indica la sua essenza stessa, è considerato impronunciabile dagli ebrei. Solo il Sommo Sacerdote, nel Tempio di Gerusalemme, poteva pronunciarlo nel giorno di Kippur (espiazione), quando faceva la triplice confessione dei peccati, per sé, per i sacerdoti e per la comunità. A questo riguardo il Talmud dice: “Quando i sacerdoti e il popolo, che stavano nell’atrio, udivano il nome glorioso e venerato pronunciato liberamente dalla bocca del Sommo Sacerdote in santità e purezza, piegavano le ginocchia e si prostravano e cadevano sulla loro faccia ed esclamavano: Benedetto il suo Nome glorioso e sovrano per sempre in eterno” (Jomà, VI,2).
Di conseguenza nella Bibbia ebraica sotto le quattro consonanti JHWH sono state poste le vocali della parola Adonai, "Signore", che essi pronunciano al posto del tetragramma sacro. Le vocali sono: e - o - a, e servivano a ricordare al lettore che, giunto a , deve pronunciare Adonai (da qui anche la storpiatura del termine JHWH aggiungendo le vocali e - o - a, creando così quello che è Jehowah o Geova).
Il Cristianesimo è una fede, un aver fiducia in una persona, Cristo. Di conseguenza, l’Io Sono dell’Antico Testamento ha trovato compimento nella figura di Gesù in quanto Rivelazione piena di Dio. Questo concetto è molto chiaro nel Vangelo di Giovanni nel quale leggiamo i vari momenti in cui Gesù stesso si dichiara “Io sono”: per ben sette volte troviamo l’espressione “Io sono” accompagnata da un immagine, una metafora che spiegano la vera identità di Cristo. A queste espressioni va, però, aggiunta un’ultima dichiarazione di Gesù, in Gv 18,1-11, quando, poco prima di essere arrestato, risponde a chi lo cerca “Io sono” e a tale affermazione le guardie cadono a terra (ciò ci ricorda il momento in cui il Sommo Sacerdote proclama il nome di Dio nella celebrazione del Kippur).
A conclusione di questi incontri Antonello ci ha salutato con questa espressione che racchiude il senso e il significato di questo breve percorso alla luce della Sacra Scrittura: "L'IO SONO, YHWH, ha chiamato Mosè per liberare Israele dall'oppressione egiziana. Il Vangelo di Giovanni, dimostra a questo riguardo che lo stesso Dio si è incarnato nella persona del Figlio, per salvare questa volta l'intera umanità."
Interessata e motivata è stata la partecipazione, intenso il desiderio di conoscere che non è un sapere a livello intellettivo, ma un relazionarsi a qualcuno per conoscerlo, amarlo, seguirlo. La conoscenza e l’amore rendono liberi, perché quando si ama e si conosce si esce da sé, ci si libera dai propri schemi, ci si apre all’altro. Che ne vengano tanti di questi incontri per rendere sempre più ragione della nostra fede.
ESSERE APPARTENTENTI ALL’AZIONE CATTOLICA
Omelia del 30 aprile per la Messa ad Anagni per i partecipanti di Capua al 150° di Azione Cattolica
di Don Mariano Signore
«Che cosa è l'Azione Cattolica? Ne abbiamo parlato molto, ma mi pare che sia soprattutto una realtà di cristiani che si conoscono, che si vogliono bene, che lavorano assieme nel nome del Signore, che sono amici: e questa rete di uomini e donne che lavorano in tutte le diocesi, e di giovani, e di adulti, e di ragazzi e di fanciulli, che in tutta la Chiesa italiana con concordia, con uno spirito comune, senza troppe ormai sovrastrutture organizzative, ma veramente essendo sempre più un cuor solo e un'anima sola cercano di servire la Chiesa. E questa è la grande cosa. Perché noi serviamo l'AC non perché c'interessa di fare grande l'AC, noi serviamo l'AC perché c'interessa di rendere nella Chiesa il servi
zio che ci è chiesto per tutti i fratelli. E questa credo sia la cosa veramente importante».
Queste sono le parole che pronunciò, nel settembre 1973, Vittorio Bachelet, salutando la conclusione della seconda Assemblea nazionale dell'ACI (Roma, 20-23 settembre 1973). Sono parole che, nonostante il tempo, sembrano non aver perso la loro forza, la loro vitalità; è tipico di quelle parole che non vengono pronunciate a caso, pour parler, per dare sfogo alla bocca o a forme di autoaffermazione. Sono parole di Spirito, illuminate dall’azione dello Spirito che, quindi, non hanno tempo: lo attraversano senza passare mai di moda.
L’Azione Cattolica è prima di tutto una comunità di cristiani, di persone che hanno Cristo come punto di riferimento, come bussola che guida il cammino. Dobbiamo sempre vigilare perché le nostre associazioni – in particolare l’Azione Cattolica - non si trasformino in altro, divenendo forme di unione indistinte, non definite e non definibili, di persone che non conoscono il centro del proprio stare insieme. Se non si comprende il senso, la ragione del proprio riunirsi, per noi cristiani, è come non conoscersi!
E’ una sfida importante da non lasciare sotto silenzio.
L’incontro settimanale dell’Azione Cattolica potrebbe diventare un dogma, una verità insostituibile, molto più della partecipazione alla messa e all’Eucarestia, dell’impegno vivo in parrocchia oltreché in diocesi, della propria testimonianza, da laici – come ha detto il papa – nella società civile. Attenzione a non trasformarci in animatori turistici!
Come si può dirsi cristiani se ogni Domenica non si partecipa alla messa e si evita l’Eucarestia, Dio che dona se stesse al di là di quello che ognuno di noi è! Questa è la nostra Pasqua! Un pane che si spezza, una vita che si dona moltiplicando vita, nient’altro!
Partecipare alla messa e ricevere l’Eucarestia vuol dire comprender in modo sempre nuovo che il pane non spezzato è un pane che produce morte; guardiamoci intorno: i ricchi diminuiscono e i poveri aumentano; il capitale economico è sempre più nelle mani di pochi, che pretendono di comandarci, di veicolare la cultura e l’informazione.
Non possiamo, non dobbiamo permettere che venga seminata la morte; dobbiamo partire dal nostro piccolo, condividendo ciò che abbiamo, impegnandoci a costruire una società alternativa.
I discepoli Lo riconobbero, certo, ma soprattutto Gesù si fece riconoscere per permettere ad ognuno di noi di praticare il suo stesso gesto: questa è la vita che vince la morte, questo vuol dire vivere da risorti!
Si serve non per ingrandire se stessi ma per servire nella Chiesa e nel mondo!
Mai annunciatori di disgrazie, di sventure, anche quando le cose non sembrano andare bene; Non arrendetevi mai!
Tanti auguri e buon cammino a tutti! Amen.


“I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”
Incontro -studio dei giovani di AC del documento preparatorio al prossimo sinodo sui giovani
di Antonella Castiello
Il 24 maggio 2017 i
giovani dell'Azione Cattolica della diocesi di Capua si sono riuniti nella chiesa di San Pietro Apostolo di Santa Maria C.V. con Don Agostino Porreca, assistente diocesano per il settore Giovani. L’incontro è nato dall'esigenza dell'equipe diocesana di analizzare i punti salienti del documento preparatorio al prossimo sinodo su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Tale documento, definito “lineamenta”, si propone come una sorta di mappa che sarà completata solo alla fine del percorso sinodale. È insita, infatti, proprio nella parola “sinodo" l'idea del cammino. Risalendo all'etimologia greca del termine, il sinodo è un percorso condiviso: un sinodo sui giovani e con i giovani, un viaggio che li indirizzi ad accogliere la chiamata all'amore e alla vita in pienezza.
Il documento si articola in tre punti: la proposta di una lettura di fede nel mondo dei giovani, il discernimento come processo che conduce ognuno a scegliere la propria vocazione, e infine si mettono in risalto gli snodi principali di una pastorale giovanile vocazionale.
L'icona evangelica di riferimento è quella dell'apostolo Giovanni, il giovane che sceglie di seguire Gesù e che Gesù ama. Giovanni fu chiamato ad essere testimone della Passione e Resurrezione del suo Maestro e ne diede testimonianza alla comunità. Ci si è poi interrogati sul mondo dei giovani di oggi, caratterizzato sempre più da legami astratti e non dal contatto reale con l'altro. I luoghi di incontro cambiano: non più le piazze, ma le piattaforme virtuali, i social-network.
L’intento della Chiesa è quello di analizzare la pluralità dei mondi giovanili, interrogando tutti i giovani, soprattutto quelli lontani dalla Chiesa, i giovani che quotidianamente incrociamo nel mondo universitario, nell’ambito professionale o nel tempo libero, quei giovani che si sono allontanati o mai avvicinati al Signore. Vuole arrivare soprattutto a quei ragazzi che non sono impegnati né in un’attività di studio, né di formazione professionale, categoria che viene convenzionalmente denominata NEET (not in education, employment or training). Molti sono i giovani che si trovano disorientati, senza punti di riferimento. È necessario, quindi, fornire delle guide che sappiano incoraggiare, offrire sostegno, ma che soprattutto siano credibili e che si facciano in prima persona testimoni della vita cristiana.
Noi giovani, sempre più spesso tacciati di creare rapporti ad intermittenza, privi di legami duraturi, noi che siamo la generazione dell'“amore liquido", per dirla alla Bauman, dobbiamo donare agli altri ciò che Dio ha donato a noi: un amore solido e imperituro. Per compiere il percorso del discernimento, che conduce ad una scelta matura e consapevole, dobbiamo incarnare i tre verbi dell'Evangelii Gaudium,51: riconoscere, interpretare e scegliere. Dobbiamo imparare a saper riconoscere un'infinita varietà di desideri, emozioni. Dobbiamo imparare ad interpretare, cioè a cogliere l’origine e il senso delle emozioni provate e valutare se ci stanno orientando in una direzione costruttiva o meno. Dobbiamo essere i fautori di un cambiamento e ribaltare la logica del “si è sempre fatto così”. Seguendo il modello di Gesù che incontrava le persone del suo tempo, anche noi dobbiamo andare nelle periferie, ai margini della società.
Il nuovo stile pastorale è: uscire, vedere, chiamare.
Nell'azione pastorale non mancheranno mome
nti di silenzio, contemplazione, preghiera.
Ad ispirare i giovani sarà proprio la vita di Maria, che seppe comprendere la misteriosa volontà di Dio e si affidò a Lui.
Il documento si conclude con un questionario rivolto ai giovani, che servirà per la raccolta di elementi per la redazione dell’Instrumentum laboris. Si evidenzia, così, un cambiamento di rotta da parte della Chiesa: la volontà di comprendere a pieno il nostro mondo, cercando di cambiare i vecchi linguaggi. Un nuovo atteggiamento che si rifà al modello pedagogico di Don Lorenzo Milani, che potrebbe riassumersi nell' “I care” (mi prendo cura) attenta ai bisogni dei giovani e ai cambiamenti della società, una comunità che ha a cuore il nostro mondo.